La Gipsoteca Canoviana

Visitare la Gipsoteca canoviana di Possagno può apparire difficile perché le opere sono disposte in ambienti non molto grandi e senza un apparente ordine: in realtà la collezione è originale e piacevole da conoscere; per cui è opportuno seguire un percorso ragionato e soffermarsi su alcune opere particolarmente significative.

Tre sono i settori principali del museo: l’ala ottocentesca (gia detta di Giuseppe Segusini, 1801-1876, l’architetto feltrino che la realizzò nel 1831-36); l’ala Scarpa (dall’architetto Carlo Scarpa, che la progettò nel 1957) e la pinacoteca con annessa casa natale dell’artista. Il museo è stato recentemente allargato con un nuovo settore (su progetto dell’architetto Luciano Gemin, 1992), annesso all’ala Scarpa. Il museo raccoglie numerose opere canoviane nei depositi (scuderia e studio). Infine è operante dal 1980 il Centro Studi canoviani, raccolta di libri, documenti e testimonianze su Canova.

L'ala ottocentesca

Giovanni Battista Sartori (1775-1858), fratellastro di Antonio Canova, volle erigere questa Gipsoteca raccogliendovi tutti i gessi che esistevano nello studio romano dell’artista. Nel 1826 lo studio fu chiuso, le opere arrivarono a Possagno dopo settimane di trasporto su terra (con carri trainati da buoi) e per mare. Nel 1853, tutti gli edifici e le collezioni del museo furono regalati da Sartori al Comune di Possagno. Nel 1918, durante la prima guerra mondiale, una granata sfondò il tetto dell’ala ottocentesca: molte statue furono gravemente rovinate; i due artisti possagnesi Stefano e Siro Serafin (padre e figlio), le restaurarono con pazienza e con bravura (una lapide sopra la porta d’entrata alle collezioni ricorda questo enorme lavoro di riparazione). Nel 1957 (a duecento anni dalla nascita di Antonio Canova), il museo fu ampliato da Scarpa (Venezia 1906-Tokyo 1978). Oggi la Gipsoteca è amministrata dall’ente autonomo denominato Lascito Fondazione Canova.

Le tre grazieLe collezioni raccolte nella Gispoteca sono diverse: opere in gesso (e sono la maggior parte; gipsoteca infatti è una parola che deriva dal greco antico e significa “raccolta di gessi”), statue in marmo, bozzetti in terracotta e cera, dipinti (oli su tela e tempere su carta); inoltre in casa si possono vedere: alcuni attrezzi dello scultore, foto di opere canoviane raccolte in altri musei, rilievi in cera, monete commemorative, incisioni riproducenti statue canoviane, alcuni cimeli dell’artista. Dal 1992 è aperta al pubblico una mostra didattica sulle tecniche del restauro dei gessi.
Per chi è curioso dei numeri ci sono 152 tra rilievi, statue, gruppi e colossi (tra cui 26 sono bassorilievi, 24 bozzetti in terracotta e 10 marmi), 50 dipinti (di cui 34 sono tempere e 16 olii). Da ricordare che a Possagno vi sono ancora altre opere di Antonio Canova: in  Tempio (l’autoritratto in marmo, la pala dell’Altare maggiore, 7 metope, la Pietà, il sarcofago), in Municipio (quattro opere in sala consiliare).

Il lavoro sostenuto da Canova per realizzare una scultura era straordinario; di solito venivano rispettate quattro fasi:

Le tre grazie - dipinto– disegno (la prima idea di un lavoro, il primo schizzo: Sartori diede in legato nel 1851 al Museo Civico di Bassano tutti i disegni lasciati da Canova nello studio romano);
– il bozzetto in terra (cotta o cruda) o in cera, così da poter vedere immediatamente come poteva realizzarsi l’opera appena ideata nel disegno. Nella terracotta rimane spesso l’impronta della mano dell’artista che impaziente plasmava la materia docile e le dava forma affascinante e ‘calda’. La datazione dei bozzetti è sempre difficile per la carenza di documenti certi.
– il gesso veniva colato su un modello, a misura, in argilla tenera, destinato ad essere distrutto. Nel gesso si inserivano le répere, quei chiodini sparsi lungo tutte le superfici della statua: con un apposito compasso appoggiato ai puntini, venivano riportate dal gesso al marmo le misure esatte del modello.

– il marmo, solitamente proveniente da Carrara, era l’ultima fase dell’opera. Dopo gli studi precedenti, la statua acquistava nitidezza, luminosità, piacevolezza. Il marmo è difficile da scolpire: se si sbaglia un colpo di scalpello spesso si è costretti ad abbandonare l’opera, con spese incalcolabili e lavoro sprecato. La tecnica del marmo e i soggetti trattati rendono davvero geniale l’opera di Antonio Canova. Per le grandi statue in marmo, Canova si faceva aiutare da numerosi Ala Scarpaoperai e allievi che lavoravano nel suo studio di Roma. La parte creativa spettava comunque sempre a lui: solo l’artista “padroneggiava con ineguale maestria i due procedimenti su cui si basa la scultura, modellare e scolpire” (Honour). Le opere in marmo solitamente erano fatte su commissione e quindi vendute (a papi, principi, re): ecco perché i marmi di Canova sono sparsi per il mondo, mentre i modelli in gesso e terracotta rimanevano nella bottega dell’artista. La Gipsoteca non vuole essere un museo come gli altri (semplice esposizione di opere): essa ricostruisce abbastanza fedelmente lo studio dove lavorava Canova; tra questi gessi, si aggirava l’artista con i suoi aiutanti a misurare, ritoccare, scalpellare, incidere.

da “La Gipsoteca Canoviana di Possagno” – Fondazione Canova – Edizioni Acelum

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